DAS tutela legale: LESIONI STRADALI – PROCEDIBILITÀ D’UFFICIO E MESSA ALLA PROVA

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Con l’introduzione del reato di omicidio stradale, sono stati inseriti all’interno del Codice Penale reati specifici in merito alle lesioni colpose gravi commesse durante la circolazione stradale. Con una scelta politica molto esplicita e, per certi versi, estrema, il Legislatore ha inteso considerare tali reati quali procedibili d’ufficio: la magistratura procede quindi automaticamente nello svolgimento delle indagini, anche senza la presenza di denunce o querele.

Ciò ha comportato un copioso aumento dei processi penali per questo tipo di reato (antecedentemente alla riforma erano rari i casi di querela per lesioni gravi in ambito stradale) con conseguente intasamento delle Corti di Giustizia. Allo stesso modo, i meccanismi deflattivi più utili per questi tipi di reato, in particolare l’istituto della messa alla prova, sono stati messi in crisi dal principio risarcitorio della persona offesa da parte del responsabile – condizione necessaria per poter aderire a tale soluzione alternativa e premiale.

La messa alla prova è una alternativa al normale processo. L’imputato la può richiedere fin dalle indagini preliminari e, se il giudice ne riconoscerà l’esito positivo, comporta il proscioglimento per estinzione del reato, di cui si eliminano le conseguenze dannose, se possibile. Chi ne fa richiesta viene incaricato di svolgere lavori di pubblica utilità presso istituzioni pubbliche o enti/organizzazioni di volontariato.

Alla messa alla prova non è ammesso:

  • chi è stato dichiarato delinquente o contravventore abituale, professionale o per tendenza;
  • chi è già stato ammesso e poi escluso da questo processo;
  • chi è già stato ammesso al processo ma è stato valutato non meritevole.

Il punto è che per accedere alla messa alla prova è fondamentale il risarcimento del danno, che nel nostro sistema non è disposto direttamente dall’autore del reato, bensì, a causa della normativa in materia di RCA, dalla Compagnia assicurativa che, appunto, assicura il mezzo responsabile dell’evento infortunistico.

L’intervento della Compagnia assicuratrice è, dunque, fondamentale, e, se da un lato assicura il congruo risarcimento del danno arrecato, dall’altro il tempo impiegato dall’Assicurazione a fare tutte le verifiche del caso contribuisce, purtroppo, ad allungare ogni singolo processo.

Secondo la giurisprudenza, per l’ammissione al beneficio in parola, il risarcimento corrisposto dalla compagnia di RCA dell’imputato (sia esso avvenuto secondo lo schema classico, ovvero secondo il paradigma del c.d. “risarcimento diretto” previsti dagli artt. 148 e 149 del codice delle assicurazioni) deve ritenersi da quest’ultimo personalmente effettuato, tutte le volte in cui, come nell’ipotesi di cui si tratta, egli ne abbia avuto coscienza ed abbia mostrato l’intenzione di volerlo far proprio.

Pertanto, la volontà riparatoria deve ravvisarsi anche nell’avere stipulato un contratto di assicurazione, rispettandone i connessi obblighi, e nell’aver segnatamente curato gli adempimenti trasmissivi di informazione del sinistro funzionali all’esito risarcitorio, onde salvaguardare la copertura e la liquidazione dei danni potenzialmente derivanti da un’attività pericolosa svolta.

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