“L’Istat ha recentemente pubblicato i dati di un censimento relativo al periodo 2016-2018 (Fonte: Istat, data di pubblicazione 08.04.2021) riguardante il tema della sostenibilità e responsabilità sociale delle imprese italiane cui può essere affiancato anche il tema, altrettanto attuale, della “D. & I.” (diversità e inclusione).
Che cosa si intende per sostenibilità e responsabilità sociale delle imprese? Che cosa si intende con il termine “diversity and inclusion management”?
Negli ultimi tempi, un movimento culturale di cambiamento sociale ed economico ha cercato di coniugare gli obiettivi di profitto con l’assunzione di una nuova responsabilità finalizzata al raggiungimento di un “beneficio comune”.
Le imprese che aderiscono a questo nuovo modello di sviluppo intercettano le grandi sfide del futuro e la complessità di un mondo in cui le risorse (sia quelle materiali che quelle umane) sono sempre più preziose e vulnerabili e per questi motivi devono poter essere valorizzate e salvaguardate al meglio.
Nel loro oggetto sociale, tali imprese si fanno carico di una responsabilità sociale e perseguono benefici collettivi che vanno oltre le logiche utilitaristiche del profitto di mercato.
- Benefici di carattere sociale;
- Benefici di carattere ambientale;
- Produzione responsabile e prodotti di valore;
- Approccio “circolare” (economia circolare);
- Valorizzazione delle diversità e dell’inclusione;
- Welfare aziendale, programmi di previdenza e servizi assistenziali;
Possiamo riassumere in questi punti il programma-manifesto delle “Società Benefit”, la cui genesi muove proprio dall’osservazione della mancanza, nella società moderna, di un equo criterio distributivo della ricchezza (soprattutto in campo sociale, economico e finanziario) e nella consapevolezza di porvi rimedio.
Inquinamento ambientale, limitazione e riduzione delle risorse naturali, migrazioni di massa, accentuazione del divario tra nord e sud del mondo, situazioni di indifferenza, di passività, di rassegnazione sono alla base di molte nuove forme di povertà e di emarginazione. La sostenibilità e la responsabilità sociale delle Società Benefit parte proprio da ciò e vi contrappone una cultura aziendale organizzativa alternativa e condivisa, che genera valore nel rispetto delle diversità che caratterizzano le popolazioni e le mentalità.
Non solo le istituzioni pubbliche, dunque, ma accanto a loro anche le “public company” private, che si fanno carico del beneficio comune e lo redistribuiscono.
Ecco, in sintesi, le principali azioni sostenibili promosse dalle imprese italiane nel periodo temporale preso in considerazione dal censimento Istat (NOTA: la percentuale indica la quota parziale rispetto al totale delle iniziative “benefit” promosse; i valori sono stati aggregati per omogeneità e non in base alla percentuale complessiva):
- azioni per migliorare il benessere lavorativo: 68,9%;
- 45,2% buone prassi collegate allo sviluppo professionale del personale aziendale;
- 42,7% buone prassi collegate alla tutela del genere e delle pari opportunità;
- 47,3% flessibilità dell’orario di lavoro;
- 25,5% conciliazione lavoro-famiglia (“work balance”), part time e permessi;
- azioni per ridurre l’impatto ambientale: 66,6%;
- installazione di impianti per la riduzione del consumo energetico: 31,3%;
- realizzazione di edifici a basso consumo energetico: 10%;
- investimenti in impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili: 5,6%;
- acquisto di automezzi elettrici o ibridi: 3,8%;
- raccolta differenziata: 77,8%;
- risparmio dei materiali utilizzati nei processi produttivi: 42,2%;
- contenimento dell’inquinamento acustico e luminoso: 34,3%;
- contenimento delle emissioni in atmosfera: 25,9%;
- azioni per incrementare la sicurezza nella propria impresa o nel territorio in cui opera: 64,8%;
- iniziative di interesse collettivo esterne alle imprese: 31,3%;
- iniziative a beneficio del tessuto produttivo del territorio: 29,4%;
- diversità ed inclusione: cenni e rinvio.
Il tema della “diversità ed inclusione” è un tema sempre più attuale rispetto a paradigmi organizzativi e a modelli di sviluppo obsoleti che, in passato, teorizzavano soprattutto la “standardizzazione” in un’ottica semplificativa ed omologatrice, che avrebbe dovuto ridurre la competizione interna e massimizzare l’efficienza.
All’opposto, la riflessione sulle diversità (di genere, di abilità, di provenienza, di orientamento sessuale o religioso, di cultura, di età) sta assumendo un’importanza cruciale nelle imprese e, a tal riguardo, si parla di “diversity management”. Si tratta di una metodologia manageriale utile a comprendere le differenze peculiari tra i diversi collaboratori di un’azienda al fine di trasformarle in un vantaggio competitivo e in un’opportunità di successo per le imprese.
L’esistenza di differenze ontologiche tra le persone rende indilazionabile l’adozione di stili di organizzazione diversi a fronte del comportamento diverso dei vari gruppi sociali, che si formano all’interno di un’azienda. La coesistenza di gruppi disomogenei viene, pertanto, valorizzata dall’organizzazione aziendale e dai modelli di gestione delle risorse, che ne intercettano le peculiarità.”
di Walter Brighenti – per DAS
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