Dal quotidiano assicurativo Assinews :
“Obbligo esteso anche alla circolazione su aree private: ma ora chi pagherà i sinistri già avvenuti?
- Una Rivoluzione
Alla fine tanto tuonò che piovve: dopo che la Corte di giustizia dell’Unione Europea, da sette anni in qua, veniva ripetendo che l’obbligo di assicurazione della r.c.a. sussiste anche nel caso di circolazione su aree private o comunque non destinate solitamente alla circolazione di veicoli a motore, le sezioni unite della Corte di Cassazione si sono adeguate, ed hanno stabilito che l’art. 122 cod. ass. deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di assicurazione della responsabilità civile sussiste non solo a carico di chi metta in circolazione un veicolo a motore su una strada pubblica, ma anche a carico di chiunque faccia un “uso del mezzo conforme alla sua destinazione” (Cass. civ., sez. un., 30.7.2021 n. 21983).
Questo vuol dire, ad esempio, che il suddetto obbligo sussiste anche a carico di chi tenga il proprio veicolo fermo in un garage, oppure circoli nella propria tenuta di campagna.
Ma soprattutto vuol dire che la vittima di un sinistro stradale ha sempre diritto ad essere risarcita, anche quando il danno sia avvenuto in un’area privata, interclusa o comunque non destinata alla circolazione dei veicoli a motore.
Avrà diritto ad essere risarcito dall’assicuratore della r.c.a., ad esempio, il condòmino investito nel parcheggio condominiale; l’infermiere investito dall’ambulanza in manovra nel garage dell’ospedale; il militare ferito a causa del ribaltamento del blindato su cui viaggiava durante un’esercitazione in aperta campagna; l’operaio urtato da un elevatore a forche (c.d. “muletto”) all’interno di un opificio.
Insomma, le fattispecie ipotizzabili sono talmente tante e talmente diverse che non è azzardato parlare di una vera propria rivoluzione nella materia dell’assicurazione r.c.a..
È un vero peccato, però, che la Corte di Cassazione non abbia ritenuto (ma non le era richiesto) di sciogliere i numerosi nodi che la nuova interpretazione dell’art. 122 cod. ass. imporrà di dipanare: che ne sarà delle polizze che prevedono espressamente la copertura solo per i danni causati dall’assicurato circolando su aree private? È ipotizzabile una ipotesi di aggravamento del rischio ex art. 1898 c.c.? L’assicuratore potrà chiedere un aumento del premio? E chi pagherà i sinistri già avvenuti su aree private: l’assicuratore della r.c.a. o il Fondo di garanzia per le vittime della strada? E le polizze con formula “pay per use” hanno ancora sen so, in un sistema nel quale la copertura deve obbligatoriamente garantire anche i danni causati da un veicolo fermo in un garage?
Nel presente scritto proverò a dare risposta a questi dubbi: prima, però, è necessario comprendere bene quale era il problema sottoposto alle SS.UU. della Corte di cassazione, e come è stato da esse risolto.
- L’obbligo di assicura zione nel diritto comunitario
Il problema che le SS.UU. della Corte di Cassazione erano chiamate a risolvere era un problema di limiti: stabilire cioè dove terminasse l’obbligo di assicurare la responsabilità civile del conducente e del proprietario di un veicolo a motore senza guida di rotaie.
Tale obbligo infatti ha vari limiti: oggettivi (esso sorge solo per i veicoli a motore senza guida di rotaie); soggettivi (esso sorge a carico di chiunque “metta in circolazione” il veicolo), spaziali (esso sorge, stando alla lettera della legge, solo se la circolazione debba avvenire su strade pubbliche od a queste equiparate).
Stabilire quali siano i confini dell’obbligo di assicurazione della r.c.a. è questione che rileva non solo e non tanto per il diritto amministrativo (la messa in circolazione di un veicolo non assicurato è condotta sanzionata amministrativamente), ma anche e soprattutto per il diritto civile.
Infatti la vittima di un sinistro causato da un veicolo a motore, ed avvenuto in un luogo per il quale viga l’obbligo di assicurazione, avrà diritto di promuovere l’azione diretta contro l’assicuratore del veicolo, se ve ne sia uno; oppure conto l’impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, se quel veicolo era sprovvisto di assicurazione.
In sostanza, stabilire se per la circolazione in aree private viga o meno l’obbligo di assicurazione significa, di fatto, consentire o negare alla vittima di avere a disposizione un debitore certamente solvibile.
Vediamo ora come tale questione è affrontata nella legislazione comunitaria. La materia dell’assicurazione r.c.a., infatti, è di competenza comunitaria, e l’Unione europea l’ha disciplinata con molte direttive, tutte poi riunite e coordinate nella direttiva 2009/103/ CE del 16 settembre 2009.
L’art. 3 di tale direttiva ha imposto agli stati membri di introdurre nei propri ordinamenti l’obbligo di assicurazione della r.c.a.: ma l’ha fatto con espressioni non coincidenti nelle varie versioni linguistiche della direttiva.
Il testo italiano dell’art. 3 direttiva 2009/103 stabilisce infatti che “ogni Stato membro adotta tutte le misure appropriate (…) affinché la responsabilità civile relativa alla circolazione dei veicoli che stazionano abitualmente nel suo territorio sia coperta da un’assicurazione”.
Il riferimento alla “circolazione”, presente nella versione italiana, è comune alla versione francese, in cui si afferma che “chaque État membre prend toutes les mesures appropriées, sous réserve de l’application de l’article 5, pour que la responsabilité civile relative à la circulation des véhicules ayant leur stationnement habituel sur son territoire soit couverte par une assurance»; alla versione tedesca, in cui si legge che «Jeder Mitgliedstaat trifft vorbehaltlich der Anwendung des Artikels 5 alle geeigneten Maßnahmen, um sicherzustellen, dass die Haftpflicht bei Fahrzeugen mit gewöhnlichem Standort im Inland durch eine Versicherung gedeckt ist“; ed alla versione spagnola, in cui si legge che “Cada Estado miembro adoptará todas las medidas apropiadas, sin perjuicio de la aplicación del artículo 5, para que la responsabilidad civil relativa a la circulación de vehículos que tengan su estacionamiento habitual en su territorio, sea cubierta mediante un seguro”.
Espressioni analoghe sono contenute altresì nella versione in greco, in olandese, in polacco ed in portoghese della direttiva.
Nella versione inglese, invece, non si parla affatto di “circolazione” del veicolo, ma solo di “uso” del mezzo: in essa si dice infatti che “each Member State shall, subject to Article 5, take all appropriate measures to ensure that civil liability in respect of the use of vehicles normally based in its territory is covered by insurance”.
Espressioni analoghe (e cioè riferentesi all’“ uso” del mezzo, e non alla sua “circolazione”) sono contenute nelle versioni bulgara, ceca, estone, finlandese, lettone, maltese, slovena e slovacca della direttiva.
A fronte di queste traduzioni non coincidenti la Corte di giustizia dell’Unione Europea, chiamata a stabilire come dovesse correttamente interpretarsi la direttiva 2009/103, ha affermato sin dal 2014 tre princìpi cardine.
Il primo principio è che la direttiva 2009/103 ha due scopi principali: apprestare la più alta tutela possibile tutela alle vittime di sinistri stradali, e facilitare la libera circolazione di beni e persone (così Corte giust., 04-09-2014, in causa C-162/13, Vnuk, §§ 50 e 51).
Il secondo principio è che il modo in cui debba interpretarsi la nozione di «circolazione dei veicoli» ai sensi dell’art. 3 della direttiva, “non pu. essere nella disponibilità dei singoli Stati membri” (sentenza Vnuk, cit., § 41).
L’obbligo di assicurazione della r.c.a. ed i suoi limiti soggettivi ed oggettivi debbono infatti essere uguali per tutti gli Stati membri, altrimenti la direttiva fallerebbe il duplice scopo sopra indicato.
Il terzo principio, corollario dei primi due, è che lo scopo della maggior tutela possibile delle vittime resterebbe frustrato, se queste non potessero rivolgersi ad un debitore solvibile (assicuratore o impresa designata) per il solo fatto che il sinistro sia avvenuto su un’area privata.
Quel che unicamente rileva per il diritto comunitario, dunque, ai fini dell’insorgenza dell’obbligo assicurativo (rectius, ai fini dell’insorgenza per gli Stati membri dell’obbligo di introdurre norme che impongano l’obbligo di assicurazione) è che il veicolo venga usato in modo “conforme alla funzione abituale del veicolo medesimo” (sentenza Vnuk, cit., § 56).
Dunque per il diritto comunitario, al fine di stabilire se la vittima d’un sinistro stradale abbia o non abbia l’azione diretta contro l’assicuratore della r.c.a. del veicolo (oppure contro l’impresa designata) non è importante stabilire “dove” il sinistro sia avvenuto (se, cioè, su una strada pubblica o meno); ma è importante stabilire “come” il sinistro sia avvenuto: e cioè se in conseguenza d’un uso del veicolo conforme alla sua funzione abituale.
S’intende che, così delimitato l’obbligo di assicurazione, questo diviene molto esteso, in quanto saranno ben rare ed eccezionali le ipotesi di sinistri causati da veicoli usati in modo “non conforme alla loro funzione”: vengono in mente gli esempi dell’autoveicolo usato per sfondare la vetrina di una banca; dell’autoveicolo riempito di TNT ed usato come autobomba; del motore a scoppio tenuto acceso per cuocere cibi col suo calore o per generare la forza motrice necessaria per azionare un macchinario esterno (per quest’ultima ipotesi si veda Corte giust. 28.11.2017, Rodrigues de Andrade, in causa C-514/16).
I princìpi appena esposti, affermati per la prima volta dalla sentenza Vnuk del 2014 (avente ad oggetto il caso di danni causati dalla manovra di un trattore nel cortile di una casa colonica, eseguita per immettere in un fienile il rimorchio ad esso agganciato), vennero in seguito ribaditi da molte decisioni della Corte di Lussemburgo.
La prima in ordine di tempo fu Corte giust. 20.12.2017, in causa C-334/16, Nunez Torreiro, la quale ritenne soggetto alla disciplina della r.c.a. anche il sinistro consistito nel ribaltamento di un mezzo militare avvenuto durante un’esercitazione su un terreno non destinato alla circolazione di veicoli a ruote, ma solo di cingolati.
Fu poi la volta di Corte giust. 4.9.2018, in causa C-80/17, Fundo de Garantia, la quale ripeté che “il diritto dell’Unione Europea in tema di assicurazione r.c.a. impone agli Stati membri di rendere obbligatoria la stipula dell’assicurazione r.c.a. anche per i veicoli stazionanti su terreno privato e che il proprietario non ha più intenzione di usare, se efficienti ed in condizione di circolare”.
Che l’obbligo assicurazione vigesse anche per i veicoli fermi in un parcheggio fu infine ribadito da Corte giust. 15.11.2018, in causa C-648/17, Baltic, la quale ha affermato che “le direttive comunitarie in tema di assicurazione obbligatoria della r.c.a. vanno interpretate nel senso che rientra nella nozione di «circolazione dei veicoli» una situazione in cui il passeggero di un veicolo fermo in un parcheggio, nell’aprire la portiera del suddetto veicolo, urti e danneggi il veicolo parcheggiato accanto ad esso”.
- La fattispecie decisa dalle sezioni unite
Il caso deciso dalle SS.UU. aveva ad oggetto una vicenda drammatica: il conducente di un camper, nell’uscire da un garage privato, aveva investito ed ucciso il proprio nipote di un anno.
I giudici di merito avevano rigettato la domanda di risarcimento proposta dai familiari della vittima nei confronti dell’assicuratore del camper, sul presupposto che sia il garage, sia la rampa di accesso ad esso, sia l’area cortilizia su cui sfociava la rampa suddetta, erano aree private non aperte alla pubblica circolazione.
Può essere utile sottolineare che i giudici di merito hanno mostrato di non ignorare la giurisprudenza comunitaria sopra ricordata, ed in particolare la sentenza Vnuk del 2014, ma hanno ritenuto che quella giurisprudenza “non consente affatto di trarre indicazioni circa l’incompatibilità con la normativa comunitaria delle limitazioni spaziali previste dalla normativa interna in materia di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile”, avendo “la Corte Europea (…) unicamente affermato che la copertura assicurativa deve estendersi ad ogni “uso conforme alla funzione abituale” del mezzo assicurato, senza affermare neppure indirettamente che la limitazione della copertura assicurativa obbligatoria ai sinistri verificatisi in strada pubblica o area ad essa equiparata sia in contrasto con la normativa comunitaria”.
Il che, sia detto per inciso, era un perfetto paralogismo: secondo i giudici di merito, infatti, siccome il diritto comunitario impone l’obbligo di assicurazione della r.c.a. in tutti i casi di “uso del veicolo conforme alla sua funzione”, esso per conseguenza non si occupa del luogo dove il sinistro è avvenuto, e sarebbe perciò facoltà degli Stati membri delimitare tali luoghi a proprio piacimento.
Un ragionamento francamente sconcertante, il quale trascura elementari nozioni di logica ermeneutica. È vero, infatti, che il diritto comunitario non si occupa del luogo dove debba avvenire la circolazione, ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di assicurazione.
Ma non se ne occupa per una sola ragione: perché stabilendo che quell’obbligo sorge ogni qual volta si “faccia uso” del veicolo, il luogo della circolazione è una circostanza irrilevante. A seguire il paradossale ragionamento adottato dai giudici di merito, per contro, si perverrebbe ad esiti singolari: ad esempio, ad affermare che siccome la direttiva 2009/103 nulla stabilisce circa il tempo in cui deve essere stipulata l’assicurazione, gli Stati membri potrebbero legittimamente introdurre norme che impongano l’obbligo assicurativo solo dalle 7.00 alle 21.00.
Che la decisione di merito fosse sbagliata, insomma, era questione non dubitabile. Molto più complesso era invece stabilire come si dovesse coordinare la lettera dell’art. 122 cod. ass. (col suo riferimento alla circolazione su “strade pubbliche”) coi princìpi stabiliti dalla Corte di giustizia, che invece della distinzione tra strade pubbliche e private non vuol sentir parlare. Era qui che sorgevano i problemi, ed è ora tempo di vedere come la S.C. li ha risolti.
- I l superamento del contrasto tra il diritto interno e quello comunitario
L’art. 122 cod. ass. stabilisce che l’obbligo di stipulare un contratto di assicurazione della r.c.a. sorge a carico di chiunque intenda “porre in circolazione un veicolo a motore su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate”.
Il contrasto di tale norma col diritto comunitario, per come interpretato dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, era ovviamente frontale: per la Corte di giustizia rileva “l’uso” del veicolo conforme al suo scopo, per la legge nazionale italiana rileva invece la “messa in circolazione”; per il diritto comunitario non ha importanza il luogo dove il veicolo circola, per la legge nazionale rileva invece solo la circolazione su strade pubbliche od equiparate.
Le sezioni unite della Corte di Cassazione, dinanzi a tale contrasto, avrebbero teoricamente potuto:
a) sollevare un incidente di legittimità costituzionale, per contrasto dell’art. 122 cod. ass. con l’art. 117 cost.1;
b) interpretare l’art. 122 cod. ass. in modo coerente col diritto comunitario. La Corte di Cassazione ha scelto la seconda strada, ed ha ritenuto che quel che fa sorgere l’obbligo di assicurazione (e, con esso, l’azione diretta della vittima nei confronti dell’assicuratore o, in mancanza, dell’impresa designata) non è la circolazione su un’area pubblica, ma la circolazione con un mezzo usato conformemente alla sua destinazione.
Il ragionamento con cui le SS.UU. sono pervenute a tale conclusione può essere così riassunto:
a) in passato la giurisprudenza riteneva che le “aree equiparate a quelle pubbliche”, per la circolazione sulle quali vigeva perciò l’obbligo di assicurazione, fossero quelle accessibili ad un numero indeterminato di persone;
b) in seguito, tuttavia, sin dal 2015 la giurisprudenza di legittimità ha iniziato ad affermare che l’azione diretta della vittima d’un sinistro stradale nei confronti dell’assicuratore deve essere accordata in tutti i casi in cui il danno sia sato arrecato dall’uso di un veicolo conforme alla sua destinazione, sempre che il sinistro sia avvenuto su area pubblica od equiparata (la sentenza qui in commento si richiama, lungamente, a Cass. civ., sez. un., 29-04-2015, n. 8620, in Assicurazioni, 2016, 101);
c) se quindi quel che conta è l’uso del veicolo conforme alla sua funzione, deve ritenersi “superata la possibilità di escludersi l’applicabilità dell’azione diretta in ragione del ravvisato numero determinato di persone aventi titolo” ad accedere all’area ove avvenne il danno;
d) di conseguenza per “aree equiparate alle strade pubbliche” di cui è menzione nell’art. 122, comma primo, cod. ass., debbono intendersi non già quelle cui può accedere un numero indeterminato di persone, ma quelle in cui un veicolo a motore può essere utilizzato conformemente alla sua funzione.
Così interpretato l’art. 122 cod. ass., la Corte ne trae i seguenti corollari:
1) l’assicurato, “ma non anche i terzi”, non può invocare la copertura assicurativa quando il sinistro sia stato causato da un uso anomalo del veicolo, e cita a tal fine l’ipotesi del veicolo circolante su una pista da sci e quella del sinistro doloso;
2) il regolamento di approvazione del “contratto base” (con d.m. 54/2020), il quale prevede espressamente che tale contratto copra anche i sinistri avvenuti su aree private, è ininfluente ai fini che qui rilevano, in quanto fonte normativa secondaria.
- Tanti problemi sul tappeto
La sentenza 21983/21 ha fatto sorgere per gli interpreti (almeno) tre grossi problemi da risolvere. Il primo problema è stabilire chi debba risarcire la vittima, nel caso di sinistro avvenuto su un’area privata, e causato da un veicolo assicurato con un contratto il quale – conformemente alla lettera della legge – non prevedeva la copertura per tale ipotesi.
Il secondo problema è stabilire quale sia la sorte dei contratti già in essere: e cioè se l’assicuratore della r.c.a., dopo questa sentenza, possa recedere dal contratto ex art. 1898 c.c. o, in alternativa, chiedere una integrazione del premio. Il terzo problema è stabilire se l’assicuratore escusso dal terzo danneggiato abbia rivalsa nei confronti dell’assicurato, ex art. 144 cod. ass.. Esaminiamo dunque analiticamente questi problemi.
5.1. Primo problema: chi paga?
Fino a quando i contratti non si adegueranno alla decisione delle SS.UU., chi pagherà i danni causati da veicoli circolanti su aree private?
In tesi, potrebbero essere possibili le seguenti soluzioni tra loro alternative:
a) il contratto che non prevede la copertura per la circolazione sulle aree private è un contratto nullo; la nullità dev’essere sanata ex art. 1339 c.c. sostituendo alla pattuizione nulla la previsione legale; ergo, i danni suddetti debbono essere pagati dall’assicuratore della r.c.a.;
b) il contratto che non prevede la copertura per la circolazione sulle aree private non è un contratto nullo, è semplicemente un contratto che copre un rischio minore rispetto quello minimo stabilito dalla legge. Chi si munisca d’un simile contratto deve ritenersi quindi privo di copertura assicurativa per i sinistri avvenuti su aree private, con la conseguenza che i danni dovranno essere risarciti dall’impresa designata;
c) la sentenza delle SS.UU. non ha aggiunto un “nuovo rischio” a quelli che già formavano oggetto dei contratti assicurativi in corso di validità; ha invece aggravato il rischio che l’assicurato possa essere chiamato a rispondere dei danni causati a terzi.
Quella sentenza costituisce dunque un “aggravamento del rischio” ex art. 1898 c.c., in quanto impone all’assicuratore di garantire anche rischi per l’innanzi non presi in considerazione.
Di conseguenza sarà l’assicuratore, non l’impresa designata, obbligato a tenere indenne l’assicurato (ovvero a risarcire direttamente il terzo danneggiato), ma avrà diritto di ridurre l’indennizzo nella misura stabilita dall’art. 1898 c.c.. Personalmente riterrei che la soluzione più corretta sia la seconda.
La tesi della nullità e della integrazione automatica del contratto deve infatti escludersi: sarebbe assurdo tacciare di nullità un contratto puntualmente conforme alla lettera della legge, per come interpretata pacificamente da cinquant’anni. Anche la tesi dell’aumento del rischio non mi sembra convincente.
Le probabilità che un assicurato investa un pedone in un’area privata, sia prima che dopo la sentenza delle sezioni unite, restano ovviamente invariate: e come noto il rischio può dirsi aumentato quando cresce la probabilità del suo avverarsi, oppure la gravità dei suoi possibili effetti.
Deve dunque concludersi che, per effetto della sentenza delle SS.UU., sia stato ampliato l’obbligo della copertura assicurativa r.c.a.. Con la conseguenza che, per i danni causati a terzi in aree private, il responsabile deve ritenersi privo di copertura assicurativa, e la vittima dovrà rivolgere le sue pretese contro l’impresa designata, ex art. 283 cod. ass.
Questa proposta interpretativa tuttavia – va detto subito – contrasta con la soluzione che le sezioni unite diedero, trent’anni fa, ad una questione analoga che molto fece discutere. Vediamo dunque quali furono i princìpi stabiliti allora, e se essi possano tornarci utili a inostri fini.
A tal fine, però, è necessario rievocare brevemente i termini della pregressa vicenda. Fino al 1991 non erano considerati “terzi” e non avevano diritto ai benefìci assicurativi i prossimi congiunti dell’assicurato.
Di conseguenza i contratti di assicurazione della r.c.a. non prevedevano alcuna copertura della r.c. del conducente o del proprietario, per i danni causati a queste persone.
Nel 1991 la Corte Costituzionale dichiarò costituzionalmente illegittimo l’art. 4, lettera b), della l. 990/69, nella parte in cui escludeva dai benefici assicurativi il coniuge ed i parenti od affini fino al terzo grado del proprietario del veicolo (Corte cost., 02-05-1991, n. 188, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1991, 446).
Sorse così il problema di stabilire chi ed in che misura dovesse rispondere dei suddetti danni, derivati da sinistri avvenuti prima della sentenza della Corte Costituzionale o comunque prima che le compagnie avessero adeguato i propri contratti, ed in giurisprudenza emersero al riguardo ben tre diversi orientamenti:
a) alcuni ritennero che l’assicuratore della r.c.a. dovesse indennizzare anche i terzi danneggiati congiunti dell’assicurato, sebbene la copertura del relativo rischio non fosse obbligatoria al momento della stipula del contratto;
b) altri ritennero che l’assicuratore non avesse alcun obbligo di indennizzare i congiunti dell’assicurato, se il sinistro era avvenuto prima della sentenza della Consulta, e che di conseguenza obbligato al pagamento dell’indennizzo fosse il Fondo di garanzia vittime della strada;
c) altri ancora ritennero che l’assicuratore fosse obbligato ad indennizzare i congiunti dell’assicurato, ma l’indennizzo da lui dovuto andava equitativamente ridotto ex art. 1898 c.c., in quanto la sentenza della Consulta aveva costituito un aggravamento del rischio (Trib. Roma, 05-03-1996, in Assicurazioni, 1997, II, 2, 95, nonché in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1996, 348, con esaustiva nota di Iuzzolino, La reductio ad aequitatem dei contratti di assicurazione rca in corso di esecuzione al momento della pubblicazione della sentenza della corte costituzionale n. 188 del 1991).
A comporre il contrasto ci pensò Cass. civ., sez. un., 29-09-2003, n. 14486, in Assicurazioni, 2004, II, 18, la quale stabilì che:
a) dei danni patiti dai congiunti dell’assicurato, ed avvenuti prima della dichiarazione di illegittimità costituzionale, doveva rispondere l’assicuratore della r.c.a., non il Fondo di garanzia;
b) l’assicuratore aveva tuttavia diritto di chiedere “un adeguamento del premio” (la sentenza peraltro non chiarì come ed in che termini; e quanto alla misura ritenne di spingersi ad affermare essere “notorio” che la copertura anche dei danni ai congiunti comportava un incremento del premio del 10%).
Chiediamoci dunque se questo criterio possa essere applicato anche al caso dei danni causati da un veicolo a motore circolante su un’area privata, ed assicurato con un contratto che non prevedeva la relativa copertura.
A me parrebbe che si debba rispondere “no”. Della sentenza del 2003 appena ricordata, infatti, sarebbe difficile dir bene.
Arzigogolata nella forma e nei contenuti, essa in sostanza trascurò alcuni princìpi fondamentali del diritto delle assicurazioni (inversione del ciclo produttivo, corrispondenza tra premio e rischio, conseguenza dell’aggravamento del rischio incolpevolmente sottaciuto dall’assicurato), e motivò la propria soluzione con due argomenti extragiuridici: e cioè che l’estensione dei rischi oggetto di copertura obbligatoria non poteva porsi a carico del Fondo di garanzia, perché in tal modo le vittime sarebbero state indennizzate nei soli limiti del massimale minimo di legge; e l’assicurato sarebbe stato esposto alla rivalsa da parte dell’impresa designata (si veda il § 6.1.4 dei motivi della decisione di Cass. 14486/03).
Argomenti, questi, estremamente fragili, ai quali sarebbe agevole replicare da un lato che non può ritenersi un “pregiudizio” il fatto che il diritto all’indennizzo sia contenuto nei limiti stabiliti dalla legge; che in ogni caso il suddetto “pregiudizio” è oggi venuto meno, a causa del notevole incremento del massimale minimo di legge; che, infine, la rivalsa dell’impresa designata verso il responsabile esigerebbe la violazione da parte di quest’ultimo dell’obbligo assicurativo, violazione ovviamente inconcepibile con riferimento ai rischi per i quali, al momento della stipula, non vi era alcun obbligo di copertura.
In conclusione: se si ritiene – come mi parrebbe preferibile – che la sentenza del 2021 abbia esteso l’obbligo assicurativo a ipotesi per l’avanti non previste, dei sinistri già avvenuti dovrà rispondere l’impresa designata ex art. 283 cod. ass., senza diritto di rivalsa verso l’assicurato; se invece si ritengono applicabili anche alla nuova vicenda i princìpi affermati dalle SS.UU. nel 2003, dei sinistri già avvenuti dovrà rispondere l’assicuratore della r.c.a., il quale tuttavia potrà domandare “un aumento del premio”.
Dove, come e quando le SS.UU. ritennero di non doverlo chiarire nel 2003, e dunque possiamo solo azzardare un’ipotesi: entro il termine di prescrizione annuale di cui all’art. 2952 c.c., decorrente dalla pubblicazione della sentenza del 2021 (30 luglio 2021).
5.2. Secondo problema: i contratti in corso ed il ruolo degli intermediari
Discende da quanto detto – sempre che si condivida la tesi sopra esposta – che:
- per i contratti assicurativi già stipulati prima dell’intervento delle Sezioni Unite, i quali già prevedevano la estensione della copertura ai sinistri avvenuti su area privata, cambia tranne un (fondamentale) aspetto mentre sino ad oggi si riteneva che il terzo danneggiato non avesse in quest’ipotesi azione diretta contro l’assicuratore del responsabile, perché l’estensione della copertura ai sinistri avvenuti su aree private era reputata un patto valido nei soli rapporti tra assicurato ed assicuratore, e non l’adempimento dell’obbligo di assicurazione, d’ora innanzi la vittima avrà sempre e comunque azione diretta nei confronti dell’assicuratore;
- i contratti assicurativi già stipulati prima dell’intervento delle Sezioni Unite, i quali non prevedevano alcuna copertura per i sinistri avvenuti su area privata, non sono più conformi alla nuova interpretazione dell’art. 122 cod. ass.. In caso di sinistro avvenuto prima dell’intervento delle SS.UU., pertanto, l’assicurato potrà pretendere di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore? La risposta a tale quesito dipende dalla soluzione che si volesse dare al problema dell’individuazione del soggetto tenuto a indennizzare la vittima, di cui s’è detto nei §§ precedenti.
Se si aderisse alla tesi qui prospettata, secondo cui l’obbligo indennitario grava sull’impresa designata, l’assicurato non potrà pretendere di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore, per l’ovvia ragione che una copertura del rischio di danneggiare terzi circolando in un’area privata non era previsto dal contratto.
Se, invece, si ritenessero applicabili i princìpi stabiliti dalle SS.UU. nel 2003 e sopra ricordati (con riferimento alla vicenda dei trasportati congiunti dell’assicurato), allora cambia tutto: come s’è visto, infatti, in quell’occasione le SS.UU. affermarono che l’assicurato deve ritenersi coperto, ma l’assicuratore ha diritto a chiedere un aumento del premio.
Il punto è che nel 2003 le SS.UU. lasciarono impregiudicati gli ulteriori enormi problemi che una tale soluzione pone: a che titolo l’assicuratore potrà chiedere l’aumento di premio? Non certo ex art. 1898 c.c., posto che tale eventualità venne espressamente esclusa dalla sentenza del 2003. E poi: entro quale termine? Ed in che misura? E se il sinistro si è già verificato, come può essere possibile chiedere l’aumento del premio per un rischio che non è più tale, essendosi concretizzato? In un simile caso un aumento di premio null’altro sarebbe che un contributo dell’assicurato al risarcimento del danno, e cioè uno scoperto. Qualche parola in più va spesa invece per i nuovi contratti, stipulati dopo il 30 luglio 2021.
Per questi contratti infatti nessuna giustificazione potrebbe essere addotta dall’assicuratore o dall’assicurato, nel caso di mancata previsione della copertura per i sinistri avvenuti su aree private. In caso di sinistro, ci troveremmo dinanzi ad una ipotesi di scopertura assicurativa, con conseguente obbligo dell’impresa designata di indennizzare la vittima, e diritto di rivalsa verso l’assicurato.
Una autentica “patata bollente” per gli intermediari, i quali avranno il dovere di segnalare all’assicurando, nella fase preliminare alla stipula, che una polizza la quale esclude la copertura per i danni causati a terzi circolando in aree private non è più una polizza conforme alla legge, e dunque costituisce un contratto “inadeguato” rispetto alle esigenze assicurative del cliente. Ed è sin troppo noto che l’intermediario ha il dovere di offrire o proporre solo contratti “adeguati”, rispondendo nel caso contrario in prima persona dei danni causati all’assicurato.
Per la stessa ragione sarà difficile, dopo il 30.7.2021, ritenere valide le polizze stipulate con la formula “pay per use”. Che il veicolo sia utilizzato o non utilizzato, che si trovi fermo od in circolazione; che si trovi su una strada pubblica od in un garage privato, per quanto detto la “nuova lettura” dell’art. 122 cod. ass. impone sempre e comunque la stipula dell’assicurazione r.c.a..
Ed è qui che, ancora una volta, viene in gioco il ruolo dell’intermediario. Come s’è visto, secondo le SS.UU. i contratti di assicurazione della r.c.a. devono coprire anche la responsabilità dell’assicurato per i sinistri avvenuti su aree private. Molti clausolari attualmente in uso non lo fanno, e c’è da giurare che continueranno ad essere utilizzati ancora per qualche tempo.
Se un contratto di questo tipo dovesse ancora essere stipulato, e se dovesse passare la tesi sopra prospettata per cui in questo caso l’assicurato è non solo privo di copertura, ma esposto alla rivalsa dell’impresa designata, non sarebbe difficile per qualsiasi avvocato di media diligenza invocare con successo la responsabilità dell’intermediario.
Questi, infatti, come noto ha il dovere di proporre contratti “adeguati” alle esigenze dell’assicurato, ed ovviamente tale non è la polizza che, trascurando l’intervento delle SS.UU., escludesse la copertura assicurativa per i sinistri avvenuti su aree private.
Resta da esaminare se ed in quali casi, per effetto della sentenza delle SS.UU., l’assicurato possa restare esposto all’azione di rivalsa dell’assicuratore o dell’impresa designata. Anche su tale problema dobbiamo distinguere varie ipotesi.
Se il contratto espressamente prevedeva la copertura per i sinistri avvenuti su aree private, ovviamente nulla quaestio.
Se il contratto espressamente escludeva la copertura per i sinistri avvenuti su aree private, oppure taceva sulla questione, ed il sinistro sia avvenuto prima del 30 luglio 2021, la rivalsa dovrà escludersi in ogni caso: se, infatti, si addossa in tal caso l’indennizzo all’assicuratore, secondo la soluzione adottata dalle SS.UU. ed esposte in precedenza, il rischio deve ritenersi “in copertura”; se si ritiene – come appare preferibile – che l’indennizzo sia dovuto dall’impresa designata, l’incolpevolezza dell’assicurato nell’elusione dell’obbligo assicurativo sarà di ostacolo all’azione di rivalsa.
A partire dal 30 luglio 2021, infine, in caso di sinistro il responsabile non solo non è coperto, ma resta esposto alla rivalsa dell’impresa designata, secondo quanto esposto in precedenza. Dopo tale data, infatti, non può più ritenersi “incolpevole” la mancata copertura del rischio suddetto.
- Conclusioni
Come accennato, la sentenza 21983/21 non ha affrontato espressamente il nodo delle conseguenze della nuova interpretazione dell’art. 122 cod. ass. sui contratti in corso.
Gli scenari possibili rispetto ai sinistri già verificatisi prima del 30.7.2021 ed avvenuti su aree private, che sopra si è cercato di delineare, sono tre.
6.1. I l primo scenario è negar e che la sentenza 21983/21 costituisca ius superveniens, e ritenere che essa costituisca solo una “normale” interpretazione evolutiva della legge
In tal caso le conseguenze saranno:
a) il danneggiato ha azione diretta contro l’assicuratore della r.c.a. anche per i sinistri avvenuti su aree private;
b) il contratto che non preveda la copertura della r.c. dell’assicurato per i sinistri causati su aree private è un contratto nullo, perché non conforme al contenuto minimo imposto dalla legge;
c) la nullità avrà per effetto l’integrazione legale del contratto ex art. 1339 c.c.;
d) l’assicurato, di conseguenza, avrà diritto di essere tenuto indenne dall’assicuratore anche per i danni causati su aree private, senza nessun obbligo di integrare il premio.
6.2. I l secondo scenario è ritenere che la sentenza 21983/21 abbia di fatto introdotto nell’ordinamento interno una norma per l’innanzi inesistente, e che di conseguenza debbano applicar si per tal e ipotesi i principi già stabiliti da Cass. sez. un. 14486/03
In questo caso le conseguenze saranno:
a) il danneggiato ha azione diretta contro l’assicuratore della r.c.a. anche per i sinistri avvenuti su aree private;
b) l’assicurato ha diritto di essere tenuto indenne dall’assicuratore anche per i danni causati su aree private;
c) l’assicuratore ha diritto di pretendere una integrazione del premio.
6.3. I l terzo scenario possibile, infine, consiste nel ritenere che la sentenza 21983/21 abbia di fatto introdotto nell’ordinamento interno una norma per l’innanzi inesistente, ma nello stesso tempo prendere coscienza dei manifesti errori contenuti nella sentenza 14486/03, ed evitar e di reiterarli anche in questa occasione.
In questo caso le conseguenze saranno:
a) il danneggiato ha azione diretta contro l’impresa designata;
b) l’impresa designata, indennizzato il danneggiato, non avrà diritto di rivalsa del responsabile.
Per la molteplicità dei problemi aperti dalla sentenza qui in commento, per la delicatezza delle varie soluzioni possibili, per le ricadute che l’una o l’latra potranno avere sull’attività di impresa, su quella di intermediazione e sui costi dell’assicurazione, non è difficile prevedere che ci si trovi all’alba di una saga giurisprudenziale ancora tutta da scrivere.
di: Marco Rossetti per Assinews
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