Approfondimento Assinews: L’imprudenza del pedone conta

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LA GIURISPRUDENZA DELLA CASSAZIONE SCAGIONA IL CONDUCENTE CHE NON VIOLA REGOLE CAUTELARI

“Automobilista assolto se è il pedone investito che attraversa in mezzo al traffico.

Altrettanto vale quando la vittima dell’incidente sbuca all’improvviso davanti all’auto. Non punibile, poi, la fuga breve dal luogo del sinistro. E l’omicida stradale resta a piede libero. È quanto emerge da una serie di pronunce emesse dalla Cassazione penale.

 

Prove riassunte

Il conducente del veicolo non risponde di lesioni personali per la presenza dell’infortunato sulla carreggiata; presenza che deve essere ritenuta imprevedibile. E se l’imprudenza del danneggiato di per sé non scrimina certo il guidatore, risulta decisiva ai fini della pronuncia liberatoria la mancata violazione di ogni regola cautelare: quando si verifica l’impatto, la vettura è quasi ferma e non si può pretendere che dia la precedenza al pedone che si riversa all’improvviso nella strada. Lo stabilisce la sentenza 45899/22, pubblicata dalla terza sezione, che interviene su di una vicenda già finita all’attenzione della Suprema corte.

Diventa definitiva l’assoluzione del conducente dall’imputazione di lesioni colpose stradali per il ferimento di due pedoni.

La quarta sezione della Cassazione aveva annullato la sentenza liberatoria perché il giudice di merito ha dato rilievo al fatto che il conducente sarebbe stato accecato dal sole. E alla condotta dei danneggiati, che hanno attraversato in un punto compreso fra due diversi attraversamenti pedonali, senza servirsene. Il tutto perché l’abbagliamento da raggi solari non integra il caso fortuito, mentre l’attraversamento repentino del pedone non basta a escludere la responsabilità del conducente.

Il punto è che il giudice del rinvio può riassumere tutte le prove per compiere un accertamento in fatto più corretto. E il presupposto di fatto della vicenda risulta diverso, il che rende inapplicabile il principio di diritto affermato dalla precedente sentenza rescindente della Suprema corte. Decisive le testimonianze: confermano che al momento del sinistro le auto procedono molto lentamente. Non risulta allora credibile la versione dei fatti fornita dai danneggiati, secondo i quali come pedoni avevano spazio sufficiente per attraversare la strada in sicurezza: in tal caso l’impatto si sarebbe consumato all’interno della carreggiata e non sul ciglio, come effettivamente è avvenuto.

Insomma: nulla si può imputare al conducente sotto il profilo della colpa specifica, cioè una velocità non prudenziale, né generica, visto il traffico intenso e l’assenza di tracce di frenata.

 

Rischio eccentrico

Di più. Quando il pedone investito spunta d’un tratto davanti alla vettura, non si può condannare il conducente senza considerare la «causalità della colpa». E quindi scatta lo stop alla sanzione per omicidio colposo se il giudice del merito non considera la velocità che il veicolo avrebbe dovuto tenere per evitare il sinistro accanto a quella a cui realmente marciava la vettura. A maggior ragione quando si tratta di ribaltare un’assoluzione, sia pure a soli effetti civili: la condanna può scattare soltanto «oltre ogni ragionevole dubbio». Lo dispone la sentenza 42018/22, pubblicata dalla quarta sezione.

Accolto il ricorso proposto dall’assicurazione come responsabile civile del sinistro. In appello l’imputato è condannato per colpa specifica sulla base della perizia: sussiste la violazione dell’articolo 141 Cds in tema di velocità dei veicoli.

L’automobilista si trova su una strada che è sì urbana, ma lontana dal centro abitato: il veicolo procede a circa 50 chilometri l’ora, però il limite di 30 non risulta segnalato. Lo stesso perito ammette che un conducente in transito potrebbe ritenere il tratto extraurbano, dunque con il limite dei 90 chilometri l’ora: la strada, infatti, attraversa poderi agricoli. Ed è dal suo campo che viene l’anziano agricoltore travolto dall’auto: spunta sull’asfalto dopo una curva, da un’apertura non segnalata nel muro di contenimento, sovrastato dalle piante; dove non ci sono strisce pedonali. L’uomo voleva andare a prendere la sua macchina parcheggiata di fronte. Il Tribunale ritiene non rimproverabile il superamento del limite che non può essere conosciuto dall’automobilista. E la Corte d’appello non si confronta con le argomentazioni del primo giudice quando accoglie il gravame delle parti civili. L’errore sta nel non valutare se il rischio concretizzatosi rientra in quello che la norma cautelare violata mira a evitare. Insomma: il giudice di secondo grado non considera se sia proprio il pedone a introdurre un rischio eccentrico che può interrompere il nesso causale con il danno.

Affinché l’investitore sia assolto, è necessario che la condotta del pedone sia ponga come causa dell’evento «eccezionale e atipica, imprevista e imprevedibile». Il giudizio continua in sede civile.

 

Particolare tenuità

Scriminata la fuga breve. Evita la condanna il centauro che investe il pedone e s’allontana, ma poi torna subito sul luogo del sinistro, aiutando il danneggiato. Si configura, infatti, la particolare tenuità del fatto: lo scooter non va molto lontano dopo aver urtato il passante, che sta attraversando sulle strisce. Anzi, accompagna il malcapitato al pronto soccorso: ci sono tutti i presupposti per applicare la causa di non punibilità di cui all’articolo 131 bis del codice penale. Lo rileva la sentenza 39474/22, pubblicata dalla quarta sezione.

È accolto il ricorso del motociclista che pure si era visto condannare per la fuga punita dall’articolo 186, comma sesto, Cds con la sospensione condizionale e soprattutto con uno stop di due anni e mezzo alla patente.

Mentre il procuratore generale chiede l’annullamento con rinvio, il collegio cassa senza la necessità di un giudizio rescissorio perché la non punibilità dell’imputato può essere decisa senza ulteriori accertamenti di fatto: il comportamento è di minima offensività e non abituale, mentre non emergono le condizioni ostative previste dalla legge.

La scena dell’incidente è ripresa da una telecamera di sorveglianza puntata proprio sul luogo dell’impatto: forse il motociclista neppure si accorge di aver urtato lateralmente il pedone, almeno così riferisce il passeggero del veicolo. Ammonito da un carabiniere fuori servizio, il centauro torna indietro e assume una «condotta positiva»: lo riconosce anche il tribunale. La persona offesa non ritiene di sporgere denuncia o querela e viene poi risarcito dall’assicurazione. Senza dimenticare che l’imputato è giovane e incensurato, al punto da ottenere la sospensione condizionale della pena. E ciò sul rilievo che ci sono le condizioni per ritenere che si asterrà in futuro dal commettere reati.

Sbaglia dunque la Corte d’appello a escludere la particolare tenuità, limitandosi a osservare che «il fatto appare grave», mentre la Cassazione può decidere la non punibilità perché le circostanze di fatto sono dedotte in modo rituale nei motivi di gravame: i presupposti per l’applicazione dell’articolo 131 bis Cp si possono quindi rilevare direttamente dagli atti.

 

Conferma esclusa

Infine: non va convalidato l’arresto per omicidio stradale perché il pirata al volante è identificato grazie ai video delle telecamere di sorveglianza: l’indagato, che ha investito e ucciso il pedone sulle strisce bianche, è fermato soltanto in seguito alle indagini della polizia giudiziaria. E dunque, osserva la sentenza 36169/21, mancano gli estremi della «quasi flagranza». Risulta irrilevante che l’auto rintracciata dagli agenti presenti danni alla carrozzeria compatibili con il sinistro: la scoperta delle «cose o tracce» del reato sul veicolo, infatti, non avviene contestualmente all’individuazione del conducente, ma soltanto in conseguenza delle dichiarazioni confessorie.

Bocciato il ricorso del pm: fa bene il gip a non convalidare il provvedimento adottato per omissione di soccorso e fuga, oltre che per omicidio stradale.

La «quasi flagranza» è esclusa perché il conducente del veicolo non è arrestato dopo un inseguimento della polizia né è sorpreso con «cose o tracce» del reato che consentono un collegamento inequivocabile con il delitto. Secondo un certo orientamento di giurisprudenza la flagranza che consente l’arresto non si configura neppure quando risulta dalla confessione dell’indagato e, in generale, tutte le volte che si rende necessario apprezzare elementi probatori estranei alla ratio dell’istituto.

 

di Dario Ferrara per Assinews

(Fonte QUI)

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