Si possono usare le chat di WhatsApp come prova in tribunale? I quattro codici non le citano espressamente, ma alcune recenti sentenze mostrano come in alcuni casi possano essere ammesse in giurisprudenza.
Oggi lo smartphone è sempre più il fulcro delle nostre comunicazioni quotidiane permettendoci di rimanere in contatto con la società in moltissimi modi. Uno degli applicativi che negli ultimi anni ha preso maggiormente il sopravvento è sicuramente WhatsApp, un software di messaggistica istantanea che proprio per la sua diffusione non ha bisogno di molte presentazioni.
Come detto i cellulari di oggi sono diventati dei veri e propri archivi di conversazioni e informazioni personali e, come conseguenza, WhatsApp è sempre più la fonte principale dove reperire eventuali botta e risposta compromettenti.
Purtroppo però, i quattro codici, nonostante i vari aggiornamenti, sono stati scritti in un’epoca in cui la tecnologia non era così presente nella nostra quotidianità, e non vengono per tal ragione citati come prova vari strumenti e software come le e-mail e le chat di WhatsApp.
Secondo il legislatore per far valere i propri diritti le parti possono fare affidamento solo alle prove espressamente indicate dal codice e non altre (principio di tipicità dei mezzi di prova) che sono nella fattispecie le prove testimoniali, il giuramento, la testimonianza, le scritture private, gli atti pubblici e qualsiasi altro documento.
Lo smartphone e le chat di WhatsApp al suo interno non possono quindi essere considerate come prova, almeno formalmente. Ma qualcosa sta cambiando. Infatti, sono sempre più i giudici ad accettare i messaggi sulle chat di WhatsApp.
Sono svariate infatti le sentenze che, seppur non abbiano dato valore di prova legale alle chat di WhatsApp, hanno riconosciuto queste ultime come prove “atipiche” e quindi comunque ammesse in giurisprudenza.
In questi casi, per far sì che una conversazione venga accolta come prova in un processo, il dispositivo deve essere consegnato alla cancelleria del tribunale e vi deve essere la trascrizione dei messaggi da parte di un CTU, il consulente tecnico nominato dal giudice. Un procedimento quindi delicato sotto l’aspetto della privacy, dovendo necessariamente accettare che un perito analizzi liberamente il contenuto del proprio telefonino.